dalla Selva del Lamone a Vulci
IL SENTIERO DI TIBURZI
L’ultimo tratto del sentiero, intitolato al brigante Tiburzi, attraversa la Riserva Naturale della Selva del Lamone e il territorio della distrutta città di Castro, conducendoci infine a Vulci, nel territorio di Canino. L’itinerario, lasciato il crinale occidentale della caldera di Latera, scende a quote più basse, costeggiando per un tratto il fosso della Faggeta, nei pressi dell’antica Abbazia Cistercense di Santa Maria di Sala, che fu attiva per una cinquantina d’anni agli inizi del XIII secolo, diventando poi sede di eremiti.
Subito dopo l’itinerario penetra nella Riserva Naturale della Selva del Lamone e l’ attraversa per circa 11 Km.
La vegetazione della Selva è ricca di quasi un migliaio di specie, distribuite spesso in un intrico orrido, da cui è nata la fama di impenetrabilità del Lamone.
Specie rare ed endemismi sono diffusi in tutta la riserva. Anche la fauna, molto ricca e variegata, appare interessante per la presenza di animali rari, come il gatto selvatico, il biancone e il gambero di fiume. La presenza stabile dell’uomo è documentata fin dal Paleolitico medio e giunge fino al Medioevo, con oggetti, resti di abitati (spesso fortificati), rovine di fattorie e chiese. Prima di arrivare a Castro, è possibile, attraverso una breve deviazione visitare i suggestivi centri storici di Farnese ed Ischia di Castro. Riprendendo il sentiero, misteriosa ed imponente appare la via cava, proprio sotto Castro, una profonda gola artificiale tagliata nel tufo che sale dall’Olpeta lungo uno dei versanti di monte Sorcano. Scendendo da Castro, verso la via cava, occorre prestare molta attenzione nel guadare il fiume Olpeta. Caratteristica di tutta questa zona è una serie di abitati rupestri, costituiti da grotte scavate nel tufo, utilizzate nel periodo Medioevale. Nelle vicinanze dell’imbocco della strada di Casale Mariotti si trova quello di Chiusa San Salvatore, distribuito sui dirupi che guardano il fosso del Paternale. Oltre alle grotte–abitazione si notano vie cave ed una enorme caverna naturale, la grotta delle Settecannelle, frequentata dall’uomo fin dal Paleolitico. Suggestivi, infine, alcuni romitori, ricavati nelle ripide pareti tufacee, che dominano il letto di alcuni affluenti del Fiora. I più interessanti sono quelli di Poggio Conte (del XIII sec.), nei pressi del Fiora arroccato sull’esedra naturale creata da una piccola cascata e di Ripatonna Cicognina (del XIV sec.), lungo l’Olpeta.
In questa zona il corso del fiume Fiora attraversa per lo più un terreno calcareo, dovuto soprattutto a deposizioni travertinose, notevole è quindi la ricchezza di fenomeni carsici, con la presenza di un gran numero di grotte naturali, alcune delle quali si inoltrano per chilometri nel sottosuolo e spesso risultano utilizzate come santuari nell’età del Bronzo. La più importante di tutte è la cosiddetta grotta Nuova (o Bucone, o Infernaccio) lunga circa 1300 metri, comunicante con l’esterno sia nei pressi di Ponte San Pietro sia in località Pianetti. L’ingresso localizzabile nei pressi di Ponte San Pietro si presenta come un’enorme sala, percorsa da un fiume sotterraneo.
I monti di Castro, naturale barriera alle colate del vulcano di Latera, nonostante la loro mole modesta, dominano tutto il paesaggio circostante, innalzandosi ripidamente dal fondo del letto del Fiora, che segna il confine tra le vulcaniti volsine e gli affioramenti della serie toscana. Superata la via cava, si prosegue lungo tipici paesaggi agricoli fino ad arrivare all’inserzione con una strada asfaltata all’altezza del pannello n. 44 (Basili: una mina vacante). Qui, proseguendo sulla sinistra dopo circa 5 Km. si arriva ad un nuovo incrocio con la S.P. Doganella: girando verso destra si prosegue verso Vulci mentre a sinistra ci si dirige verso Pianiano. Da questo piccolo e antico borgo, passando davanti al parco fluviale del Timone ed alla splendida Chiesa di S. Egidio è possibile raggiungere il centro storico di Cellere, paese natale di Tiburzi. Ritornando sui nostri passi, si prosegue alla volta di Vulci nei pressi del Ponte dell’Abbadia, costruito dagli Etruschi e più volte restaurato in epoca romana e medievale. è sorretto su due arcate, la maggiore delle quali ha una luce di circa venti metri e scavalca il Fiora da un’altezza di trenta metri. Attigua al ponte sorgeva l’abbazia di san Mamiliano, successivamente trasformata in castello, dove ha sede il museo storico archeologico di Vulci. Siamo ormai nel territorio del comune di Canino, centro famoso per la bontà delle proprie olive e dell’asparago verde denominato anche “mangiatutto”.